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DOPO L’ACQUA ALTA A VENEZIA VENEZIA, LA FENICE CHE RISORGE

30 NOVEMBRE 2019

“VENISE, VENEDIG, VENICE, VENECIA, ВЕНЕЦ́ИЯ, ΒΕΝΕΤΊΑ, VENEZIA, ….”. IL NOME DELLA CITTÀ DI VENEZIA È IL PIÙ TRADOTTO AL MONDO

La perenne sfida dei veneziani con le maree. Venezia è il simbolo della condizione civile dell’umanità, dove l’armonia e la tolleranza, l’arte e la bellezza, ci propongono un modello di convivenza desiderabile e di integrazione pacifica.

 Se c’era un posto inadatto per fondare una città, erano proprio gli estuari dell’alto Adriatico. Vi si potevano trovare solo fango, alghe e zanzare. Eppure proprio su alcuni inospitali affioramenti di sabbia si rifugiarono le genti dell’entroterra, per salvarsi dalle orde provenienti dal nord. In quella melma non c’era pietra per edificare, legno per consolidare, argilla per cuocere laterizi. Bisognava raccogliere in cisterne l’acqua per bere e catturare del pesce per sopravvivere. La sfida fu accolta. Convinti dai libri sacri: “Nisi dominus aedificaverit domum, in vanum laborant qui aedificant eam” (Ps 126,1), i veneziani testardi, hanno iniziato a creare il terreno, poi a marginare i canali, infine a costruire le fabbriche e le chiese, gli approdi e gli impianti, per ultime le abitazioni, sostituendo quelle in canna palustre.

Per obbligo fingevano di appartenere all’impero bizantino, per necessità diffidavano da quello carolingio. Quando i franchi tentarono di conquistare l’arcipelago realtino, gli isolani tolsero le “briccole” dalla laguna e le imbarcazioni nemiche finirono nelle “sechere”, facile preda degli arcieri veneti. Nacque così l’emporio “fontego” di Venezia, dove c’erano libertà e tolleranza verso ogni razza, rango e credo, a condizione che si arrivasse con buone idee, soldi da investire e mercanzie da scambiare. Ma l’acqua, mai doma, restava il vero avversario. Il suo livello, sempre variabile, dipendeva da fattori incontrollabili: la subsidenza, l’eustatismo, la sessa, la marea, il vento, la luna, ecc. Bisognava quindi “alzare” Venezia per metterla al sicuro dalle ricorrenti “acque grandi”. Ancora oggi in diversi edifici si riscontrano più pavimenti soprapposti. Cosa impossibile a San Marco, dove la basilica era stata eretta già prima del Mille. Bisognava anche deviare i fiumi che interravano la laguna ed innalzare “murazzi” per difendere la città dal mare aperto. Un equilibrio gestionale si era così stabilito tra l’uomo e la natura, un patto di mutuo rispetto tra Venezia ed il suo mare, che consentiva la sopravvivenza di un ecosistema fisico ed antropico davvero unico.

Questa sapiente mediazione si è rotta con l’arrivo della modernità, che Il ha introdotto canali profondi, strade ferrate, moli foranei, impianti industriali, grandi navi. Il “mito di Venezia”, avviato da Goethe, Byron, Ruskin, ecc. sta ora scadendo in un turismo di massa che consuma la città di Tiziano e Tintoretto, Sansovino e Palladio, ma anche di Monteverdi e Vivaldi, nonché degli ammiragli Venier e Morosini, che arginarono l’avanzata ottomana verso l’Europa. Alle crescenti emergenze idrauliche del 1966, quando i flutti passavano sopra il cordone litoraneo e si frangevano sulla “Riva degli Schiavoni”, si è creduto di provvedere con il progetto “Mose” il modulo elettromeccanico per la regolazione delle maree. L’ideologia, la politica assieme all’indecisione tecnica e all’indifferenza dell’opinione pubblica hanno lasciato per anni il grande meccanismo sott’acqua a degradare. Una volta finito, funzionerà il Mose? Deve funzionare! Ma non basterà, perché insieme, bisogna provvedere alla manutenzione della città, cioè a: restauri, consolidamenti, difese, bonifiche, impianti di regolazione e depurazione. La piccola comunità veneziana, non più sostenuta dai domini della Serenissima, non è in grado di sopperire all’impegno della sua conservazione.

Venezia però è il simbolo della condizione civile dell’umanità, dove l’armonia e la tolleranza, l’arte e la bellezza, (si è detto che: “salveranno il mondo”), ci propongono un modello di convivenza desiderabile e di integrazione pacifica. Per noi e per l’umanità intera. È quanto ha affermato Ursula, la gentildonna che regge l’Unione europea. La ringraziamo. I veneziani si sono rimboccati le maniche, si sono attivati per rimediare all’evento del 12 novembre scorso. Vuol dire che la comunità esiste, ancorché stremata e come “la Fenice”, risorge dopo ogni sciagura. Venezia è davvero la città di coloro che la amano e la ritengono indispensabile per il proprio onore e per la dignità di tutti. Come ha detto un umanista francese del secolo passato: “veneziano non è chi è nato a Venezia, ma chi vorrebbe esserci nato”

È il luogo in cui ognuno di noi desidera “to get lost”, cioè perdersi nelle calli per sentirsi avvolto dalla bellezza, dalla cordialità, dallo stare volentieri insieme agli altri. “Spes contra spem”, quindi, ci sentiamo tutti uniti per contrastare la barbarie incombente. Anche il Rotary International è di questa idea: “conservare Venezia: urbs e civitas, per noi e i nostri figli”.

di Franco Posocco PDG – Guardian Grando della Scuola Grande di San Rocco

Fonte Rotary Magazine – Sett 2020