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LA TRASFORMAZIONE DIGITALE DELLA P.A. TRA LUCI E OMBRE

28 MARZO 2021

UNA RIFORMA CHE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ATTENDE DA QUARANT’ANNI

Questo il tema affrontato nel corso della riunione in videoconferenza del RC Lignano Sabbiadoro del 16 febbraio 2021 che ha  visto come relatore il Prof. Paolo Coppola, Professore associato e Ricercatore di Informatica Teorica all’Università di Udine. Già Deputato e impegnato sui temi dell’Agenda Digitale è  considerato tra i pionieri dell’open data in Italia.      Presentato dalla nostra socia, avv. Simonetta Rottin, il relatore, anche con  l’ausilio di video e slides, ha esordito con un breve riassunto dei temi che avrebbero formato oggetto del suo intervento. 

Qui di seguito la Sua gentile sintesi:

Da più di quarant’anni i massimi vertici dello Stato sanno bene che una riforma della PA non può prescindere da una corretta informazione e che per trasformare digitalmente la PA è necessario riformarla, eppure, nonostante le voci unanimi sui benefici del digitale la trasformazione è ancora lontana e il nostro Paese si pone sempre agli ultimi posti nelle classifiche internazionali. Quali sono i motivi di questi ritardi e quali i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni che ci permettono di sperare? .

Negli atti della conferenza “L’informatica nella riforma della Pubblica Amministrazione” organizzata dal CNEL nel 1981 è possibile leggere un passaggio illuminante: “Il concetto che conviene mettere a fuoco e che costituisce del resto l’asse della presente relazione è comunque il seguente: che non può esistere un corretto processo di automazione della Pubblica Amministrazione senza un contestuale processo di riforma della stessa; e nel contempo che un processo di riforma della Pubblica Amministrazione che voglia essere moderno e produttivo non può prescindere da un utilizzo razionale dell’informatica.” e, subito dopo: “l’informatica non è uno strumento aggiuntivo nella Pubblica Amministrazione, ma uno strumento di riforma”. 

Da questi documenti risulta evidente che la mancata digitalizzazione non deriva da una scarsa consapevolezza tecnologica, ma riguarda soprattutto il fallimento della riforma complessiva dell’amministrazione. Secondo l’ultima rilevazione dell’indicatore DESI (Digital Economy and Society Index) utilizzato dalla Commissione Europea per misurare il livello di digitalizzazione dei paesi membri, l’Italia si pone nella parte bassa della classifica relativa alla componente di e-government. Dietro a noi, di poco, la Germania, ma è una magra consolazione perché siamo ben al di sotto della media europea ed abbiamo davanti 18 paesi tra cui la Spagna (secondo posto) e la Francia (12esimo). Uno studio di European House Ambrosetti ha mostrato una forte correlazione tra l’indice DESI e quello di qualità della PA (Quality of Government Index) ed è possibile notare anche una forte correlazione tra DESI e indice di corruzione percepita. 

Da queste analisi possiamo affermare che nonostante ogni anno la spesa ICT della PA italiana sia intorno ai 6 miliardi di euro (fonte NetConsulting cube 2020), i risultati sono scarsi e si accompagnano ad una PA di qualità bassa che viene percepita corrotta.  

Eppure negli ultimi anni alcuni passi avanti sono stati fatti. Il nostro Paese è passato dal penultimo posto in Europa rispetto alla copertura di rete fissa ad alta velocità nel 2015 fino a sfiorare la media europea nel 2018. La strategia di digitalizzazione nazionale ha, a partire dallo stesso anno, un piano triennale, aggiornato ogni 12 mesi, che prevede la diffusione di alcune infrastrutture immateriali che permettono di dare impulso alla cittadinanza digitale: il sistema pubblico d’identità digitale, che permette di accedere a tutti i servizi online della PA con le stesse credenziali, il domicilio digitale, con il quale è possibile inviare e ricevere documenti in modo telematico con la prova di avvenuta ricezione, PagoPA, che rende i pagamenti elettronici verso qualsiasi amministrazione più semplici e omogenei, e l’app IO, che porta su smartphone una vasta gamma di servizi pubblici. Anche dal punto di vista delle professionalità e dell’organizzazione interna delle pubbliche amministrazioni, dal 2016 la legge (articolo 17 del Codice dell’amministrazione digitale) prevede uno specifico ufficio per la transizione alla modalità operativa digitale che deve essere diretto da un responsabile che abbia competenze tecnologiche, manageriali e di informatica giuridica. 

Purtroppo, nonostante gli indubbi passi avanti, la sfida è ancora molto lontana dall’essere vinta. Durante la scorsa legislatura la Camera dei Deputati ha istituito una apposita commissione d’inchiesta, che ho avuto l’onore di presiedere e che ha indagato sullo stato della digitalizzazione e sui motivi del ritardo. I risultati dell’indagine, riassunti in una corposa relazione e raccontati anche dalla trasmissione televisiva Report, hanno messo in evidenza un enorme problema di mancanza di competenze, soprattutto tra i vertici dirigenziali. La trasformazione digitale della PA necessita cambiamenti organizzativi e capacità di interlocuzione con il mercato dei fornitori di tecnologie che purtroppo la maggior parte dei dirigenti pubblici non dimostra di avere. 

Questa mancanza di competenze porta a circoli viziosi in cui i progetti di digitalizzazione tendono a costare troppo e a non raggiungere gli obiettivi sperati, anche perché troppo spesso gli obiettivi non vengono dichiarati e si affronta la spesa con il solo scopo di ottemperare ad un qualche obbligo di legge. In un contesto di questo tipo, purtroppo, spesso la digitalizzazione si risolve in acquisto di tecnologia che però non modifica l’organizzazione del lavoro o degli uffici.

Dopo 40 anni, ripensando a quanto scritto negli atti della conferenza del CNEL del 1981, occorre prendere pienamente consapevolezza che la vera sfida è quella di una Pubblica Amministrazione efficace ed efficiente, realmente al servizio dei cittadini. Il digitale è solo uno strumento attraverso il quale raggiungere quegli obiettivi, magari aumentando la trasparenza e, tramite quella, lottando contro la corruzione. La sfida può essere vinta solo agendo sulle persone, investendo in formazione e curando maggiormente il reclutamento del personale con un’attenzione maggiore alle figure tecniche che negli anni sono state sottovalutate troppo privilegiando quelle puramente giuridiche. La Pubblica Amministrazione digitale dovrebbe essere la naturale evoluzione della PA nel XXI secolo e funzionari e dirigenti che si ostinano a voler continuare a lavorare come se fossimo nel secolo scorso non dovrebbero essere più tollerati. 

Prof. Paolo Coppola