19 MAGGIO 2021
UN SIMPATICO RICORDO DELL’ARCH. MARCELLO D’OLIVO
UN SIMPATICO RICORDO DELL’ARCH. MARCELLO D’OLIVO
Il 20 aprile 2021 i soci del RC Lignano Sabbiadoro Tagliamento si sono incontrati in videoconferenza per ascoltare la relazione dell’arch. Giuseppe Esposito, affiancato dall’ing. Maurizio Meroi, che ebbero entrambi la fortuna di conoscere da vicino il grande architetto e urbanista friulano Marcello D’Olivo. Dopo il saluto del presidente Korossoglou è toccato al socio Enzo Barazza il compito di presentare l’arch. Esposito, autore di numerose realizzazioni fra le quali: l’arredo urbano del centro storico di Santa Margherita del Gruagno (Moruzzo), la progettazione di alcune ville in Aprilia Marittima, la ristrutturazione di edifici scolastici e di centri commerciali, il restauro in Udine dell’edificio ex Basevi, il progetto per una piscina olimpionica a Martignacco, i lavori di restauro del Villaggio del Fanciullo di Opicina, opera dell’arch. Marcello D’Olivo nel 1950, e la realizzazione ex novo di un centro polifunzionale all’interno del comparto del Villaggio del Fanciullo e, per finire, la progettazione per conto dell’Ente Tutela Pesca di un acquario e laboratori in Ariis di Rivignano.
Ma l’arch. Giuseppe Esposito era già noto al nostro club, del quale fu socio e anche presidente, così come socio e presidente (1984-85) fu a suo tempo il padre Federico Esposito, giornalista, regista e direttore artistico delle numerose stagioni liriche e concertistiche organizzate a Lignano nel ventennio 1965-1985 dall’Azienda di Soggiorno e Turismo. Ed ecco di seguito il ritratto dell’arch. D’Olivo nel ricordo del relatore Esposito.
“Il mio primo libro acquistato all’Università era su D’Olivo che ho avuto il piacere di incontrare nel corso di una cena e in un paio di altre occasioni. Ideatore e costruttore di complessi insiemi urbanistico-architettonici, che ad una personale elaborazione della tendenza organica uniscono arditi calcoli strutturali per creare forme ispirate al mondo naturale, come la pianta a spirale di Lignano Pineta (1952-63) o la gigantesca conchiglia sospesa nel monumento al Milite ignoto di Baghdad (1979-84), D’Olivo ha compiutamente espresso la sua idea di città nella nuova capitale del Gabon, Libreville. Tra il 1965 e il 1975 è attivo in Congo, Camerun, Sierra Leone, Togo, Zaire, Algeria e Libia. La tensione ad un mondo ideale, dove l’uomo usa la scienza per migliorare la qualità della vita e non per sovvertirne le regole, è ampiamente rappresentata anche dalla sua produzione pittorica.
In virtù di una cultura accademica eccessivamente politicizzata, ci sono stati architetti ingiustamente trascurati come Marcello D’Olivo nonostante abbia realizzato opere di straordinaria importanza per dimensioni e per qualità. L’immagine con la quale lo si tende a liquidare è di un utopista organico incapace, attraverso curve e spirali, di saper costruire l’architettura della città che invece, per la cultura dell’epoca sarebbe stata migliore se caratterizzata da forme squadrate e da rigidi tracciati regolatori.
“La natura” ‒ diceva ‒ “è dominata da curve. Io sono un lavoratore della matita e il mio tratto deve essere un’architettura di curve. Per rispetto verso la natura e l’architettura”.
Di modeste origini Marcello D’Olivo, era un sognatore ed era un solido friulano arrivato all’architettura attraverso un percorso alterno. Ai corsi accademici di bel disegno e di composizione preferiva le lezioni di Scienza delle costruzioni e i corsi di Fisica. Da qui l’attrazione per l’architettura organica e per le forme della natura, viste non con l’occhio romantico degli esteti ma attraverso il filtro della tecnologia e della pratica del costruire. “Ogni curva” ‒ diceva ‒ “raccoglie in sé una potente formula matematica dettata dalla natura”.
Trasferitosi a Roma è qui che Bruno Zevi si accorge della statura del personaggio, apprezzandone la prima opera importante, realizzata nel 1950, il Villaggio del Fanciullo a Opicina. Caratterizzato da pareti inclinate e da lunghe e ariose finestre a nastro, l’edificio intriga il critico romano per la sua anti-convenzionalità, che bene esprime il senso di un progetto educativo non ortodosso, giocato attraverso il superamento dell’architettura razionalista. Zevi sosterrà l’architetto udinese non lesinando incoraggiamenti ed elogi, sino a definirlo il Wright italiano.
La fama di D’Olivo è legata in Italia al progetto urbanistico per Lignano Pineta del 1952. È una lottizzazione turistica in un’area paesaggisticamente delicata. D’Olivo risolve il problema di inserimento con una strada continua a forma di spirale che permette a chi la percorre di cambiare continuamente il proprio orizzonte di riferimento. Il complesso è tagliato da un percorso lineare, definito “il treno” ospitante servizi e negozi lungo circa 600 metri, che conduce gli abitanti dal centro dell’insediamento verso il mare. Realizzato solo in parte, il segno urbano è tanto forte e intrigante da resistere a tutte le manomissioni, diventando il principale motivo di interesse e di attrazione della zona, insieme ad alcune splendide ville da lui stesso realizzate.
Nell’edificio Gusmay, parte di un complesso turistico non realizzato nel Gargano, manifesta alcune inflessioni Lecorbusiane. L’opera nel 1964 vince il premio InArch, sicuramente grazie all’apprezzamento di Bruno Zevi, che delle scelte dell’Istituto Nazionale di Architettura è il principale ispiratore.
Già dalla metà degli Anni Cinquanta, D’Olivo è impegnato con un numero crescente di progetti all’estero.
I progetti realizzati da D’Olivo in Medio Oriente, in Africa e nel resto del mondo sono numerosi. Piani urbanistici, stadi, la città universitaria di Ryad, l’ospedale Mouasher ad Amman, il progetto della città delle arti a Dakar. Una quantità enorme di opere che portano lo studio a ingrandirsi. Il progetto più importante è in Iraq per il dittatore Saddam Hussein, il quale rimane folgorato dalla sicurezza e impertinenza del personaggio che aveva stroncato con poche parole i progetti presentati dai suoi concorrenti e gli aveva promesso un monumento al Milite ignoto come se ne erano mai visti. E difatti realizza a Bagdad una struttura circolare di 260 metri di diametro, sollevata da terra 13 metri, con una cupola di 60.
giuseppe esposito
MARCELLO D’OLIVO ARCHITETTO E SOGNATORE
Il suo rapporto armonioso tra architettura e natura è presente in tutte le sue opere.
L’ing. Maurizio Meroi, insieme con l’arch. Giuseppe Esposito, ha di recente intrattenuto i soci del RC Lignano Sabbiadoro Tagliamento in videoconferenza, per parlare del suo rapporto professionale con Marcello D’Olivo, grande architetto e urbanista friulano.
“Stimolato dall’amico architetto Giuseppe Esposito, ho preparato una breve memoria su un’esperienza professionale che ebbi la fortuna di vivere in Cremona durante l’estate dell’anno 1985 presso lo studio dell’arch. Marcello D’Olivo.
Questo mio semplice contributo non ha ovviamente la pretesa di essere una prospettiva biografica sulla figura di Marcello D’Olivo, ma semplicemente il ricordo di una singolare esperienza vissuta quale giovane ingegnere, completamente diversa dalle esperienze professionali che all’epoca avevo già iniziato e che mi avrebbero anche in seguito visto protagonista.
Nel 1985 avevo iniziato una collaborazione presso lo studio CONTI & Associati di Udine quando, all’inizio dell’estate, sono stato improvvisamente contattato dall’arch. Marcello D’Olivo che stava formando una squadra di tecnici per partecipare al concorso internazionale per la progettazione di un villaggio NATO a Comiso, Provincia di Ragusa, Regione Sicilia.
L’architetto D’Olivo partecipava a questo concorso internazionale con il supporto dell’Impresa Farsura di Milano.
L’anno precedente, da Roma si era definitivamente trasferito a Cremona, ove collaborava stabilmente con un’impresa locale.
Durante i mesi estivi, videro la luce varie soluzioni progettuali del villaggio; ogni volta sembrava che fosse la soluzione buona, quella definitiva, io e gli altri collaboratori coinvolti iniziavamo a lavorarci sopra per tradurla in bella copia, ma poi D’Olivo insoddisfatto ripartiva con un’idea completamente nuova.
La soluzione definitiva del progetto venne definitivamente abbozzata dall’architetto circa una settimana prima della scadenza fissata dal bando del concorso per la consegna degli elaborati progettuali esecutivi.
Ecco allora che gli ultimi giorni di lavoro divennero un’affannosa corsa contro il tempo al fine di riuscire a modificare ed assemblare le varie parti del progetto.
Per inciso, il concorso d’idee non fu vinto da noi, che risultammo secondi; inoltre, per ragioni legate ai notevoli cambiamenti politici internazionali di quegli anni, non venne mai realizzato.
Il progetto, urbanistico ed architettonico insieme, prevedeva la realizzazione di 460 alloggi con la creazione di un villaggio autonomo che avrebbe dovuto diventare una base NATO in Sicilia.
All’interno del villaggio era prevista la realizzazione degli alloggi, ma anche di negozi, impianti sportivi, supermercati, uffici, che andavano a creare una città autonoma, in grado di pulsare di vita propria.
La caratteristica peculiare del progetto era però rappresentata dallo sviluppo urbanistico del sito che prevedeva un singolare soluzione per la viabilità interna, contemplante un solo senso di marcia con un solo senso di marcia con ingresso ed uscita al villaggio da un’unico accesso.
ingresso ed uscita al villaggio da un unico accesso.
Nel progetto di Comiso, come d’altro canto in tutti gli altri suoi lavori precedenti, lo schema urbanistico è ricavato da regole nascoste, da precise equazioni matematiche che regolano il disegno del tracciato urbanistico.
Appassionato di linee curve e spirali, Marcello D’Olivo ha firmato alcune delle architetture più importanti dell’epoca recente. La fascinazione per l’architettura organica e per le forme della natura ed i continui riferimenti all’interazione fra natura e tecnologia, con l’ambizioso tentativo di omologare quest’ultima con lo studio delle leggi genetiche e morfologiche della natura stessa, permearono sempre le sue scelte professionali.
“La natura” ‒ diceva ‒ “è dominata da curve. Io sono un lavoratore della matita e il mio tratto deve essere un’architettura di curve. Per rispetto verso la natura e l’architettura”. “Ogni curva” ‒ diceva ‒ “raccoglie in sé una potente formula matematica dettata dalla natura”.
Anche il progetto per Comiso fu sviluppato secondo l’ideale della corrente “organica” dell’architettura, che sposava in pieno il concetto di rapporto armonioso architettura- natura e che vedeva l’opera ideata amalgamarsi completamente nel paesaggio circostante.
Il rapporto architettura-geometria è leggibile nel tracciato della arteria principale interna al villaggio, l’architetto amava usare la geometria in forme analitiche, anche complesse, con combinazioni fra porzioni di circonferenza, cerchi, semicerchi, ellissi e sviluppi sinusoidali. Ciascuna piazzetta circolare è delimitata da edifici aventi forma di ciambella spezzata, e quindi anche loro sottoposti al rigore delle equazioni matematiche.
Così, la viabilità principale può essere pensata come il tronco di un vegetale da cui partono le varie ramificazioni fino a raggiungere perifericamente i frutti, rappresentati ciascuno da un’unità abitativa.
D’Olivo intendeva dare all’intelligenza progettuale del costruire un indirizzo etico, nel tentativo di far comprendere e persuadere che l’offesa arrecata all’ambiente naturale oltre a produrre contenuti disarmonici, provoca un irreversibile processo distruttivo.
La sua opera urbanistica più famosa è la spirale, detta “la chiocciola”, di Lignano Pineta realizzata nel 1955. L’impianto urbanistico del nuovo villaggio turistico destò anche l’interesse di Ernest Hemingway che venne a Lignano per conoscere direttamente l’architetto D’Olivo.
Ebbi modo di constatare come D’Olivo possedesse un bagaglio culturale e tecnico quasi da “ingegnere civile”.
Infatti, ad una buona conoscenza della scienza delle costruzioni e della matematica, dottrine dalle quali era curiosamente attratto, univa una innata capacità di distribuire ed organizzare gli spazi, tenendo sempre in evidenza l’aspetto statico dell’organismo pensato e progettato.
Da questo punto di vista, fu un professionista molto amato e stimato dagli ingegneri “calcolatori” delle sue opere. Nei suoi progetti, la statica dell’organismo ideato si legge sempre facilmente, appare subito evidente nella sua trama.
D’Olivo affronta da “artista” il tema dell’infrastruttura, ma concepisce con l’esattezza dell’ingegnere il tema dell’opera d’arte.
A tale proposito, ci piace ricordare che D’Olivo, oltre agli esami sostenuti presso la Facoltà di Architettura di Venezia, studiò fisica e matematica a Padova con il prof. Giorgio Salvini, che diventerà poi assistente di Einstein a Princeton.
La scienza delle costruzioni lo affascinava come disciplina al punto che si legò ad amicizia con molti ingegneri (Silvano Zorzi, Musmeci, Pierluigi Nervi). Erede dei vari D’Aronco, Provino Valle e Midena, si dimostrò architetto legato al tema della megastruttura, della grande dimensione.
Personalmente constatai che, quando alla soluzione del problema generale doveva giocoforza seguire lo studio e lo sviluppo di dettaglio, la tensione e l’interesse in lui diminuivano. Non fu mai progettista d’interni o designer, lo studio del piccolo dettaglio non solleticava sufficientemente la sua fantasia e quest’aspetto dell’ideazione progettuale non fu mai in cima ai suoi pensieri.
Un esempio: quando si giunse all’individuazione della soluzione progettuale definitiva per il villaggio di Comiso, perdemmo alcuni giorni a risistemare letteralmente la distribuzione dei vani interni ai vari alloggi, operazione che l’architetto demandò tranquillamente ai propri collaboratori.
Lo studio professionale dell’arch. D’Olivo non ebbe mai un organico fisso, con lui c’era un elevato numero di collaboratori, giovani e meno giovani, qualche tecnico esperto che veniva chiamato per affrontare e risolvere temi particolari, molti giovani alle prime esperienze.
Se escludiamo il primo periodo udinese, quando condivise l’attività professionale con un ristretto gruppo di tecnici, soci ed amici, D’Olivo ebbe sempre a che fare con Partners (Imprese di Costruzioni) che gli risolvevano molti problemi mettendogli a disposizione i loro uffici tecnici ed i loro collaboratori. Non si deve dimenticare che svolgere l’attività professionale decine di anni fa era senza dubbio meno faticoso di oggi.
Il quadro normativo generale, più leggero e meno condizionante rispetto a quello con il quale ci si deve oggi confrontare, lasciava ampi spazi per la correzione in corso d’opera di eventuali mancanze od omissioni oppure per soddisfare eventuali ripensamenti dell’ultima ora.
A Cremona appariva già evidente che per lo svolgimento del progetto di un’opera complessa sarebbe stato necessario organizzare il lavoro in modo diverso, impegnando risorse umane e coinvolgendo attori di differente cultura tecnica ed attitudine professionale.
Si intuiva cioè quello che oggi è diventato un fatto evidente: la qualità del progetto viene garantita dall’aggregazione di sinergie professionali differenti, il risultato è quindi frutto di scelte prese collegialmente e non può interpretarsi unicamente come una vicenda personale del singolo progettista.
D’Olivo visse professionalmente un’epoca in cui la realizzazione delle grandi infrastrutture per i paesi in via di sviluppo portò molti tecnici ed Imprese italiane ad operare al di fuori del territorio nazionale. Ebbe anche la fortuna di non doversi mai preoccupare dell’acquisizione del lavoro, poiché godeva del privilegio di venir contattato direttamente dai Committenti che, solitamente, avevano grandi disponibilità economiche.
Ora alcuni aneddoti sul personaggio.
Non prendeva la vita troppo sul serio, il lavoro per lui era come un gioco. Alle volte, a metà pomeriggio, improvvisamente ci faceva chiudere lo studio e partivamo tutti alla volta di un’osteria nella sconfinata campagna cremonese dove, all’ombra degli olmi, facevamo merenda con “busecca” e vino rosso.
Era una persona generosa, ma aveva un pessimo rapporto con il denaro, che spendeva disordinatamente. Acquistava pennarelli, matite, pastelli e gessetti colorati senza badare a spese, materiale che poi dimenticava dappertutto fra casa, studio e incontri professionali.
Antiaccademico, bizzarro ed indisciplinato, poco incline all’autoriflessione, avrebbe difficilmente potuto svolgere la sua attività professionale in modo “classico” e stanziale non essendo assolutamente disposto a cedere ai compromessi.
Decisamente un “irregolare” nel panorama architettonico del dopoguerra.
Resta ancor oggi vivo in me il ricordo delle lunghe giornate trascorse in studio e delle meravigliose ore vissute con Marcello e sua moglie Paola, ospite nel loro appartamento di vicolo Pertusio, proprio a due passi dal Torrazzo.
Ricordando quell’esperienza di molti anni fa, mi sembra ancora di avvertire nell’aria il profumo del suo tabacco da pipa preferito unitamente all’immagine dei tavoli da disegno ove posavano disordinatamente gessi e matite colorate”.
Maurizio Meroi